In Normandia sulle spiagge del D-Day: Omaha, Colleville, Port-en-Bessin, Pointe du Hoc

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Il cimitero americano di Colleville NormandiaDopo aver visitato Bayeux, il mattino del 17 maggio imbocco la nazionale in direzione Cherbourg. Prendo l’uscita che mi porta ad Omaha. In realtà quel nome in codice comprende Vierville, Colleville, Saint Laurent du Mer, La Cambe, Isigny e forse ne dimentico qualcuno. E’ stato il teatro di sbarco più sanguinoso di tutta l’operazione Overlord, tanto da essere stato ribattezzato Bloody Omaha. A Saint Laurent du Mer visito il memoriale. Stesse emozioni provate in quello di Bayeux. Incrocio turisti americani, inglesi, olandesi, ovviamente francesi, australiani, canadesi. Restiamo tutti ugualmente muti davanti alle vetrine che espongono le armi che hanno sparato, le mostrine, le medaglie, le bende, gli strumenti chirurgici.

Seguo poi la strada per Colleville dov’è il grande Cimitero americano (foto in alto e qui sotto), quello antistante la spiaggia dove il 16° reggimento della I divisione americana, la Big Red One, ha lasciato così tanti caduti. La visita richiede quasi un’ora e mezza, senza percorrere i ripidi sentieri che, volendo seguirli, scendono fino alla spiaggia. Dopo aver camminato lungo i viali curatissimi, la vista si apre quasi all’improvviso sul panorama impressionante delle 9386 croci di marmo bianco. Ci sono sepolti padri e figli, fratelli. E’ presente anche qualche centinaio di croci che riportano la scritta ‘conosciuto solo da Dio’.

accesso al cimitero americano di Colleville

Torno al mio Burgman in silenzio. Il sole è caldo, ma provo un senso di freddo. Non visiterò il cimitero tedesco di La Cambe, dove le tombe sono addirittura più di 21000. Pur con tutto il rispetto per i caduti sotto ogni bandiera, è vivo in me il desiderio di allontanare quel senso di groppo in gola. Ho bisogno di un fiato, del respiro dell’Oceano. Me ne vado a Port-en-Bassin, paese di pescatori.

Sul lungomare scelgo a caso il Fleur du Sel, uno dei tanti ristorantini. Ho bisogno di riprendermi, di bere una buona birra e, perché no, di assaggiare le ostriche à la Normande. Sono una gradita sorpresa. Si condiscono con una riduzione a base di mele, sidro, cipolle e si fanno gratinare. Proseguo con un piatto di pesce, detto turbot. Chiedo alla cameriera carina e gentile di che pesce si tratti. Mi risponde che il turbot è il turbot… Scoprirò poi di aver mangiato un trancio di rombo.

Passeggio pigramente rilassato per le stradine di Port-en-Bessin. Mi lascio catturare dall’alito dell’oceano. Scatto qualche foto cartolina. Mi regalo un braccialettino di cuoio. Chiacchiero con il propietario del negozio di souvenir. Parliamo del più e del meno. Ma ho come un peso dentro. La visita al cimitero americano mi ha davvero impressionato. Decido di rientrare a Bayeux, ma non prima di aver fatto un’altra breve tappa ad Arromanches che si rivela più che interessante. Qui gli inglesi costruirono un gigantesco porto di collegamento con un complesso sistema di ponti di barche per rifornire il teatro delle operazioni direttamente dalle navi alla fonda, con truppe fresche e ogni tipo di mezzi e sostentamenti.

Pointe du Hoc veduta dalle scogliereArrivato in hotel fumo e bevo birra seduto sul prato davanti alla mia camera. Alla mia sinistra vedo la cattedrale con le sue guglie che svettano su tutto. Sul prato di fronte tre mucche pascolano paciosamente. A destra dell’hotel c’è una clinica veterinaria per cavalli. Ogni tanto qualche nitrito si fa sentire. C’è grande pace.

Il giorno seguente, domenica 18 maggio, lo dedico ai ranger di Pointe du Hoc (foto qui a destra). Lì in 225 aggredirono e scalarono una falesia alta 30 metri al di sopra della quale erano i bunker tedeschi che con i loro cannoni da 155 sparavano sulle navi al largo. Fu un’impresa follemente eroica e coraggiosa. L’area di visita è vasta. Si percorrono i vari sentieri a fianco dei tanti e tanti crateri, risultato dell’intenso bombardamento dal mare, quello che non diede alcun risultato tanto da richiedere il successivo intervento dei rangers americani. La vista dei crateri e l’ingresso ai bunker lasciano un senso di disorientamento al pensiero di ciò che può essere veramente stato in quel giorno durante quell’attacco. Oggi è un grande prato assolato che domina dall’alto le barche intente nella pesca.

sul campanile di St marie Eglise bayeuxIl mio viaggio prosegue nell’omaggio ai paracadutisti della 101° Airborne, quelli lanciatisi sul Cotentin, insieme agli altri dell’82°, dietro le linee nemiche e che finirono sparsi nella notte su di un territorio ben più vasto di quanto fosse stato prefissato. Quelli che calarono anche su Sainte Mère Eglise, dove è il manichino che ricorda lo sfortunato soldato atterrato con il suo paracadute proprio sul campanile della chiesetta e lì rimasto appeso e ferito per tutta la notte prima di essere fatto prigioniero.

A Sainte Mère Eglise c’è il memorial dedicato ai parà: qui, tra gli altri percorsi di visita, si trova anche un’ala di nuovissima costruzione all’interno della quale c’è un C-47 Dakota. Si entra nella stiva dove sono allineati i manichini dei soldati in completo assetto da battaglia in attesa della luce verde. Nella semioscurità si rivive, attraverso audio e video originali, l’emozione del momento del lancio sotto i colpi della contraerea. Nel museo ci sono pure altri diorami di indubbio interesse che fanno rivivere momenti storici. Nulla è stato lasciato al caso e l’attenzione e lo stupore si rinnovano in ogni sala del percorso.

Al rientro a Bayeux visito la cattedrale dov’è la campana Therese-Benedicte della quale ho già detto. Ho indosso una maglietta con i colori dell’Australia. Nella sacrestia, dove sono in vendita i souvenir, dietro il banco sta una vecchietta. La saluto porgendole i miei auguri di buon compleanno rendendola semplicemente felice – ne ho sentito casualmente l’accenno da una sua amica. Mentre mi avvio verso l’uscita, mi corre dietro offrendomi una cartolina con l’illustrazione di una delle vetrate della cattedrale. “Sei australiano… vai a vedere quella vetrata… c’è la Vergine che ha protetto i soldati… ci sono anche gli australiani!”.”Ma io sono italiano… non vengo dall’Australia…”.”Non importa… vai lo stesso!”. Vista la dolce insistenza, seguo le indicazioni.

Una piacevole serata di riposo chiude la mia permanenza a Bayeux. Il meteo prevede un peggioramento. Non andrò a Courseulles o altrove. Per il giorno dopo decido una diversione di itinerario con una visita veloce a Mont-Saint-Michel, da dove poi guadagnare quanta più strada possibile per il rientro, evitando la pioggia che in parte prenderò lo stesso.

Al mattino successivo, approfitto di una abbondante colazione con quegli irresistibili croissant e quel pessimo caffè. Imbocco la nazionale per Cherbourg. Devio per Saint Lo e da lì a sudovest verso Mont Saint Michel dove arrivo dopo circa 300 km. L’avvicinamento al monte è piacevole. Attraverso stradine costellate di case indicanti un numero spropositato di camere in affitto e quant’altro vive attorno al famosissimo luogo. Poi la sorpresa… non si può più arrivare a parcheggiare sotto la rocca. Sono in corso i lavori di costruzione di una diga (la marea che un tempo si regolava da sé non esiste più) e sono stati predisposti dei parcheggi molto distanti dai quali accedere al monte con un servizio di navetta che lascia a circa 300 metri dalla rocca. Troppo tempo! Non voglio perdere tutte queste ore. Voglio evitare il brutto tempo che si avverte già nell’aria ed è evidente che occorre almeno un giorno intero per una visita decente, non le poche ore che mi ero prefissato. Boh.. ci tornerò alla prima occasione…

Risalgo in sella e vado in direzione Rennes. Da lì a Le Mans per raggiungere in serata Bourges e passare una notte nello stesso accogliente ed economico hotel Ibis. Il Burgman macina chilometri. Tutto bene a parte un certo indolenzimento del fondoschiena… Manca ancora poco per Bourges. Sarebbe inutile fermarmi ancora per benzina, caffè e sigaretta. Ormai ci siamo quasi… Acc… mi distraggo… perdo l’uscita, la sola e unica per Bourges – ne rammentavo due – e la successiva è Alencon a 90 km?! Come faccio per la benzina… Cavolo che casino! Al contrario ecco l’indicazione per un autogrill dopo 20 km, così almeno posso fare il pieno, poi si vedrà. L’addetta alla cassa mi riaccende il sorriso… a 6 km c’è un’uscita e lì nei pressi un piccolo motel che pare accolga particolarmente volentieri i motards… Sembra fatto apposta per me. Evviva!

Così esco a Saint Amand Montrond. Scorgo subito il motel. Avvicinandomi sento anche un buon profumo di cucina… mmmh…
Scopro che, non avendo prenotazione, la stanza per me non c’è. Merde! Sono costretto raggiungere il paesino seguendo le indicazioni che mi vengono gentilmente fornite. Vado a destra, poi a sinistra, poi a destra… ma ‘sto cavolo di hotel dov’è?! Beh seguirò l’istinto. Vado nel centro del paese che è completamente deserto. Non c’è anima viva e nemmeno l’ombra di un alberghetto… No! Non è vero! Vedo una scritta… albergo ristorante la Croix d’Or! un due stelline accese tutte per me! Parcheggio alla buona sul marciapiede. Entro nella casa di due piani un po’ trasandata nell’aspetto. C’è odore di vecchio, ma soprattutto… non c’è nessuno. Hello? Hello? D’un tratto spunta alle mie spalle un’anziana segaligna signora dallo sguardo severo. Ho la sensazione di essere capitato nella favola di Hansel e Gretel. Ma no, che dico! Madame Rolande, questo il nome della donna, è gentilissima e affabile. La stanchezza a volte gioca brutti scherzi. Mi assegna la stanza numero 7 al secondo piano. Mi permette di lasciare il Burgman nel cortiletto interno. Una cameriera ragazzina, non molto sveglia, mi indica le scale. Salgo con il sacco e lo zainetto in spalla. La piccola camera numero 7 ha un nome, si chiama Sabrina. Il suo interno sembra un puzzle… in mezzo c’è un grande letto (meno male). Di fronte a sinistra un piccolo lavandino, dietro il quale spicca una sgargiante tenda viola che separa una improvvisata ma efficiente piccola cabina doccia. A destra della finestra è stato ricavato un bugigattolo con il water. Meno male! Di primo acchito credevo fosse nel corridoio. Sono strafelice! Scendo a cenare con un ottimo filetto e mezzo litro di vino che credo di essermi ben guadagnato, non prima di avere assaggiato degli affumicati di cui vado a dire.

Dopo una buona dormita e una doccia ristoratrice, scendo a fare colazione. Chiacchiero con madame Rolande. Si parla del futuro, di sogni e progetti. Lei sta restaurando parte delle camere e poi vorrebbe mollare tutto a andare lontano… Salgo a prendere il sacco e lo zainetto. Scendo in cortile per caricare il Burgman e la mia attenzione è richiamata da una strana stufa. Madame Rolande mi spiega che è una sua idea per affumicare la carne à la maison artigianalmente e più che efficacemente. Per il filetto di maiale occorrono circa 4-5 ore, mentre quello d’anatra ne sono sufficienti 3-4.

Riparto in direzione Lione e poi verso casa. Oh no! Di nuovo il vento mi sbatacchia senza ritegno. Direi più forte del viaggio di andata. Passo Lione miracolosamente senza sbagliare strada… Sono in Savoia. Mi avvicino al Frejus. Che ventaccio, non molla d’intensità. Oh no! L’autostrada che porta al tunnel è chiusa. Lavori in corso e vento forte lasciano transitare solo i bilici. E così mi ritrovo sulla statale per Modane. Dopo una quindicina di chilometri extra arrivo al tunnel. Lo percorro questa volta apprezzandone il calore interno. Ho le mani indolenzite. Nel versante italiano il vento rimane tale e quale. Mi pervade improvviso un senso di malinconia. Il viaggio, dopo più di 2600 km, è alla fine, per ora…

Dario Arpaio

Mappa dello sbarco in Normandia


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